Braccate area non vocata
La costituzione del nuovo Comitato ATC Siena, e il suo recente insediamento, giungono all’indomani di vicende sofferte e sfociate in una lunga fase di commissariamenti. Una delle migliori esperienze di applicazione della Legge 157/92, e della funzione affidata agli ATC, che aveva fatto della provincia di Siena uno dei modelli più avanzati per qualità e risultati realizzati a livello nazionale, sconta oggi una fase di forte regressione. Ciò impone uno sforzo da parte di tutti i soggetti chiamati in causa affinché si possano ricostituire i presupposti per il rilancio, anche innovativo, delle azioni e degli obiettivi che stanno alla base di una corretta gestione del territorio e della fauna selvatica. Con la Legge Regionale Toscana, recentemente approvata che riduce da 19 a 9 gli ATC, Siena passa da tre ambiti (ex 17, 18 e 19) ad un solo centro di gestione funzionale ed amministrativa con liberazione di risorse per investimenti sul territorio. Un ATC di 360.000 ettari di superficie territoriale con zone di ripopolamento e cattura, zone di rispetto venatorio, istituti privati (AFV, AAVVV) ed innervato da numerose aree protette obbliga gli amministratori ad uno sforzo per coordinare di mettere in sinergia tutti i soggetti in campo. Un cammino che si intreccia con le prospettive di nuova governance in cui i compiti di indirizzo e controllo che, si presume, assumerà sempre di più la Regione, andranno comunque articolate anche in termini territoriali, soprattutto all’indomani di molte competenze fino ad ieri affidate alle Province. Ciò porterà sicuramente alla possibilità che l’ATC ampli e rafforzi il proprio ruolo e le proprie competenze. La sfida è saldare al meglio i temi dell’innovazione con le ragioni della socialità. Anche per questo abbiamo lavorato affinché in Toscana nascesse subito un coordinamento strutturato degli ATC.I primi importanti obiettivi
La costituzione e la conservazione di popolazioni faunistiche, ed in particolare della nobile stanziale, dà la cifra di quello che dovrebbe essere uno dei più importanti obiettivi raggiunti dall’ATC. Scelte gestionali discutibili e profondamente sbagliate hanno compromesso questo aspetto. Occorre ripensare e rivisitare tutto l’impianto gestionale degli istituti faunistici pubblici, puntando ad ottenere il massimo della produzione di fauna allo stato naturale, e riducendo drasticamente il ricorso a tecniche di immissione con fauna di allevamento. Il nuovo piano faunistico, dovrà affrontare con efficacia l’obbiettivo di una adeguata riperimetrazione e/o costituzione degli istituti faunistici mettendo l’ATC, e anche le Commissioni di verifica e controllo, in grado di attivare le necessarie misure per il corretto controllo degli ungulati, delle specie antagoniste (ex art. 37) che, accompagnate ad un robusto piano di investimenti destinati ai miglioramenti ambientali potranno, in tempi adeguati, riportare la consistenza di numerose specie oggi a rischio, come il fagiano ma anche la lepre, per non parlare della starna ormai scomparsa, a buoni livelli di densità. La riconfinazione di numerose strutture, ed il loro profondo ripensamento, apre anche una diversa idea dell’irradiamento sul territorio a caccia programmata che, nel tempo, sostituirà o limiterà al massimo la pratica delle catture ed il lancio di fauna nel territorio cacciabile; un progetto che accompagnato a meccanismi di premialità potrà rimotivare tanti appassionati oggi un po’ delusi.
La costituzione e la conservazione di popolazioni faunistiche, ed in particolare della nobile stanziale, dà la cifra di quello che dovrebbe essere uno dei più importanti obiettivi raggiunti dall’ATC. Scelte gestionali discutibili e profondamente sbagliate hanno compromesso questo aspetto. Occorre ripensare e rivisitare tutto l’impianto gestionale degli istituti faunistici pubblici, puntando ad ottenere il massimo della produzione di fauna allo stato naturale, e riducendo drasticamente il ricorso a tecniche di immissione con fauna di allevamento. Il nuovo piano faunistico, dovrà affrontare con efficacia l’obbiettivo di una adeguata riperimetrazione e/o costituzione degli istituti faunistici mettendo l’ATC, e anche le Commissioni di verifica e controllo, in grado di attivare le necessarie misure per il corretto controllo degli ungulati, delle specie antagoniste (ex art. 37) che, accompagnate ad un robusto piano di investimenti destinati ai miglioramenti ambientali potranno, in tempi adeguati, riportare la consistenza di numerose specie oggi a rischio, come il fagiano ma anche la lepre, per non parlare della starna ormai scomparsa, a buoni livelli di densità. La riconfinazione di numerose strutture, ed il loro profondo ripensamento, apre anche una diversa idea dell’irradiamento sul territorio a caccia programmata che, nel tempo, sostituirà o limiterà al massimo la pratica delle catture ed il lancio di fauna nel territorio cacciabile; un progetto che accompagnato a meccanismi di premialità potrà rimotivare tanti appassionati oggi un po’ delusi.
Ungulati
Le popolazioni di ungulati, pur con le opportune differenziazioni, si sono trasformate in questi ultimi anni da una importante risorsa, anche in termini venatori, ad un reale problema per quanto riguarda il loro rapporto con la produzione agricola di qualità, con la forestazione e per i gravi risvolti legati alla sicurezza (incidenti stradali). Alla base di tutto ciò ci sono le profonde trasformazioni del territorio agro-silvo-pastorale, ma anche una diffusa presenza di numerose aree protette, di istituti faunistici, dove per anni sono mancate adeguate misure di intervento e di corretta gestione di queste popolazioni. Sbaglia chi individua l’ATC come capro espiatorio, ed è illusorio pensare che le sole risorse provenienti dalle tasse e dalle iscrizioni versate dai cacciatori, possano nel tempo assicurare un equilibrio anche sul fronte delicato del risarcimento dei danni agli agricoltori. Per uscire da questa situazione serve un approccio complessivo, dando vita ai Comprensori di gestione per gli ungulati, ponendosi l’obbiettivo di considerare il territorio come unicum per giungere ad adeguati piani di gestione ma anche di forte contenimento, laddove è necessario, di tali popolazioni. Ciò non soltanto all’interno del territorio a caccia programmata, ma anche nelle aree protette, ridefinendo una reale vocazionalità dei comprensori per specie. Gli ATC potranno assolvere ad un ruolo fondamentale solamente se si riuscirà a determinare un quadro legislativo certo sulle azioni di controllo e, soprattutto, se si potranno delegare a questo organismo di volta in volta l’applicazione di tali azioni (interventi in braccata, girata, aspetto, uso del cane limiere, ecc.). La caccia di selezione, compresa quella al cinghiale, deve ritrovare un suo corretto equilibrio e la delibera che oggi esclude nei fatti oltre 500 cacciatori abilitati allo svolgimento di tale attività sul cinghiale deve essere celermente cancellata. Per la caccia di selezione al cinghiale si individueranno adeguate fasce di territorio contiguo ai distretti per la caccia al cinghiale in battuta, oggi assegnati alle squadre.L’unità del mondo venatorio
Come è facile comprendere, anche la gestione e una corretta idea della rappresentanza delle varie sensibilità in campo all’interno di un Comitato come quello dell’ATC, non può che trovare come punto di forza un mondo venatorio unito e coeso sugli obiettivi. In Toscana, ma anche a Siena, la nascita della CCT rappresenta una nuova frontiera sulla quale unire gli interessi della passione venatoria con gli obiettivi di una buona gestione del territorio e di un nuovo e più fecondo sistema di alleanze con agricoltori, sensibilità ambientalista e istituzioni. Non è solamente una questione legata al numero dei praticanti che determina questa esigenza: le sfide della gestione impongono maggiore preparazione e nuova e diversa progettualità. In mancanza di questo è a rischio un modello di pratica venatoria che, ad oggi, garantisce a decine di migliaia di cittadini di vivere questa passione al riparo da una impostazione falcidiante e odiosa sul fronte dei costi e dell’accesso ai fondi che ci rendono una positiva anomalia rispetto all’Europa, e non solo.
Le popolazioni di ungulati, pur con le opportune differenziazioni, si sono trasformate in questi ultimi anni da una importante risorsa, anche in termini venatori, ad un reale problema per quanto riguarda il loro rapporto con la produzione agricola di qualità, con la forestazione e per i gravi risvolti legati alla sicurezza (incidenti stradali). Alla base di tutto ciò ci sono le profonde trasformazioni del territorio agro-silvo-pastorale, ma anche una diffusa presenza di numerose aree protette, di istituti faunistici, dove per anni sono mancate adeguate misure di intervento e di corretta gestione di queste popolazioni. Sbaglia chi individua l’ATC come capro espiatorio, ed è illusorio pensare che le sole risorse provenienti dalle tasse e dalle iscrizioni versate dai cacciatori, possano nel tempo assicurare un equilibrio anche sul fronte delicato del risarcimento dei danni agli agricoltori. Per uscire da questa situazione serve un approccio complessivo, dando vita ai Comprensori di gestione per gli ungulati, ponendosi l’obbiettivo di considerare il territorio come unicum per giungere ad adeguati piani di gestione ma anche di forte contenimento, laddove è necessario, di tali popolazioni. Ciò non soltanto all’interno del territorio a caccia programmata, ma anche nelle aree protette, ridefinendo una reale vocazionalità dei comprensori per specie. Gli ATC potranno assolvere ad un ruolo fondamentale solamente se si riuscirà a determinare un quadro legislativo certo sulle azioni di controllo e, soprattutto, se si potranno delegare a questo organismo di volta in volta l’applicazione di tali azioni (interventi in braccata, girata, aspetto, uso del cane limiere, ecc.). La caccia di selezione, compresa quella al cinghiale, deve ritrovare un suo corretto equilibrio e la delibera che oggi esclude nei fatti oltre 500 cacciatori abilitati allo svolgimento di tale attività sul cinghiale deve essere celermente cancellata. Per la caccia di selezione al cinghiale si individueranno adeguate fasce di territorio contiguo ai distretti per la caccia al cinghiale in battuta, oggi assegnati alle squadre.L’unità del mondo venatorio
Come è facile comprendere, anche la gestione e una corretta idea della rappresentanza delle varie sensibilità in campo all’interno di un Comitato come quello dell’ATC, non può che trovare come punto di forza un mondo venatorio unito e coeso sugli obiettivi. In Toscana, ma anche a Siena, la nascita della CCT rappresenta una nuova frontiera sulla quale unire gli interessi della passione venatoria con gli obiettivi di una buona gestione del territorio e di un nuovo e più fecondo sistema di alleanze con agricoltori, sensibilità ambientalista e istituzioni. Non è solamente una questione legata al numero dei praticanti che determina questa esigenza: le sfide della gestione impongono maggiore preparazione e nuova e diversa progettualità. In mancanza di questo è a rischio un modello di pratica venatoria che, ad oggi, garantisce a decine di migliaia di cittadini di vivere questa passione al riparo da una impostazione falcidiante e odiosa sul fronte dei costi e dell’accesso ai fondi che ci rendono una positiva anomalia rispetto all’Europa, e non solo.
Massimo Logi
Presidente dell’ATC e dirigente della Confederazione Cacciatori Toscani
Fonte: ARCI Caccia Toscana
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